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Programma Pastorale per l'anno 2013 - 2014

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Ho preparato una programmazione parrocchiale di indicazioni, a partire dal tema diocesano sviluppato al Convegno diocesano di giugno scorso. Spero sia accolto ed insieme cercheremo di realizzare almeno...qualcosa.

Ho scelto solo 3 punti. Se qualcuno, personalmente o poi come gruppi, volesse per iscritto commentare o aggiungere, sarò molto liero di ricevere commenti.

Anche se siete fuori, questo testo vi raggiunge in modo da avere serenità e tempo sereno per studiarlo, mentre avremo modo di riprenderlo una volta tornati.

Un saluto Don Renzo

 

 

PARROCCHIA STELLA MATUTINA

PROGRAMMA PASTORALE PER L’ANNO 2013 – 2014

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La responsabilità dei battezzati nell’annuncio di Gesù Cristo

E’ questo il tema diocesano scaturito dal Convegno di giugno scorso e presentato anche nella nostra Assemblea parrocchiale; esso pertanto sarà per la nostra comunità la linea da seguire insieme da tutti, così da essere segno di comunione con tutta la nostra Chiesa di Roma.

Il primo termine da evidenziare è: “battezzati”.

La grazia battesimale deve connotare in buona evidenza noi cristiani e ne dobbiamo fare l’espressione del nostro vivere costante, quotidiano, lineare così da testimoniare che è Dio ad  agire in noi perché è presente: “Non siete più sotto la legge, ma sotto la grazia” (lettera ai Romani). Lo Spirito di Dio ci muove. Ogni ambito di formazione cristiana nei nostri gruppi servirà ad illuminare questa coscienza battesimale. L’Eucarestia che celebriamo, anzitutto quella domenicale, aiuta a farci nutrire di questa preveniente grazia battesimale e a marcarla? La nostra coscienza è battesimale e la sentiamo tale oppure non si differenzia da una coscienza buona di qualsiasi persona retta? La nostra fede forma dei cristiani battezzati o semplicemente dà spazio a valori umani, senza una luce più profonda di senso? La nostra catechesi è offerta sui valori minimi o su quelli essenziali? Come la comunità partecipa ai tempi della richiesta del battesimo da parte di una famiglia, così come della sua celebrazione ed oltre? La Veglia pasquale celebrata nella notte pasquale risveglia la vita dei battezzati?

Il  secondo termine di riflessione è: “responsabilità”.

La responsabilità sarà anzitutto quella della custodia e della memoria della grazia del battesimo; è per essa che noi possediamo la vita nuova in Cristo . Alimentare la vita di fede battesimale porrà la comunità come naturale e sincero testimone del mistero cristiano davanti al mondo, al nostro quartiere, a tutta la nostra gente, al nostro prossimo. La responsabilità non è solo individuale ma comunitaria ed è questa gratitudine comune che i battezzati, come famiglia, desiderano manifestare. “Gesù Cristo ci dà la grazia; … ci dà la grazia gratuitamente, e noi dobbiamo darla gratuitamente” (Papa Francesco al Convegno): responsabilità di grazie e di dono; responsabili di fronte al dono datoci e di fronte al dono da compartecipare.

“Responsabilità  dice che dobbiamo rispondere al dono che è la nostra vita credente e risponderne davanti a tutti coloro a cui vogliamo bene”; “L’inizio della nostra responsabilità credente: riconoscere che l’origine non viene da noi, sia quella della vita che quella della fede”. “La responsabilità, prima della forma dell’impegno, ha la figura della testimonianza, comunicare ciò che ha cambiato la propria vita” (Relatore al Convegno, Mons. Brambilla). La responsabilità è forse un peso gravoso per noi, specie in questa cultura di valori a corto respiro, o ne facciamo sprigionare la novità e l’entusiasmo di un impegno di gioia perché portatori del Vangelo che è lieta notizia? La responsabilità, su cui cresce la libertà sensata, ci dilata a spazi e progetti di futuro, di nuove aperture?  Quanti altri responsabilizziamo ai doni, ai carismi, ai servizi, alla formazione? “La responsabilità è la spinta ad uscire dall’abitudine, a non rimanere nel guscio ripiegati su noi stessi o in una comunità autoreferenziale” (Cardinale Vicario al Convegno). Ci sentiamo responsabili nella Chiesa e con tutta la Chiesa? Quale affetto ci muove verso la comunità?

Il terzo termine di centralità è: “Gesù Cristo”.

Il battezzato responsabile ha ben presente che la grazia che gli è donata è la grazia del Padre data all’umanità: Gesù Cristo. E’ Lui l’evento di grazia che è apparsa e rimane con noi; la grazia è Lui nato, battezzato, trasfigurato, morto, risorto, asceso al cielo, siede alla destra del Padre, giudice dei vivi e dei morti: tutto il suo mistero di vita incarnata, tutto il suo mistero pasquale. Cristo Gesù è grazia dataci dal Padre nell’amore dello Spirito ed ha la valenza del trascendente, del divino rivelato; la Chiesa ci sostiene in questa accoglienza trinitaria. La grazia è Lui, Parola di Dio fatta carne e resa unico sacrificio di redenzione e per questo noi siamo battezzati in Lui, viviamo in Lui e Lui ci fa responsabili della sua stessa vita con la chiamata – la sequela – il discepolato del Nuovo Testamento. I battezzati sono chiamati e sono realmente cristiani, figli nel Figlio, figli di Dio Padre. La Parola di Dio è la vivente Persona di Gesù Cristo che parla o è per noi un libro, un testo da leggere ed osservare e decifrare, da raggiungere con le nostre tecniche di indagine? Non è Lui che si dona per primo? Non abbiamo come battezzati il suo nome: Gesù Cristo, come furono chiamati per la prima volta i cristiani ad Antiochia? La nostra umanità di battezzati non è fondata su Gesù Cristo, perché in Lui siamo stati creati? La formazione del battezzato non si forma su Gesù che è il Cristo, l’Unto nello Spirito ed unisce la sua umanità e la sua divinità, sempre?

Il quarto termine di dinamismo è: “annuncio”.

Giungiamo al nodo pastorale e pratico: come rendere possibile con efficacia la grazia dell’essere battezzati In Cristo? Con la scelta dell’annuncio! Questi ha un carattere performativo: dice e coinvolge tutte le componenti. Annunciare è dire con le parole della vita, della personale esperienza di comunità e singola, del complesso di fatti vissuti. “Questione educativa è prendere coscienza che noi trasmettiamo sempre vangelo dentro forme pratiche di vita. Il Vangelo non s’incontra allo stato puro, ma dentro un volto e una storia”; “Dobbiamo diventare capaci di racconti di vita cristiana!”; “il racconto fa prendere distanza dagli eventi e cerca in qualche modo di non lasciarsi travolgere dalla vita; è saper raccogliere i frammenti e porli in una storia coerente così da dare unità di senso alle cose che facciamo e diciamo: ritornare ad un’unità interiore”;  “il saper raccontare trasforma l’ascoltatore in lettore partecipe della storia. I cristiani come credenti sono il racconto vivo del Vangelo di Gesù” (Relatore al Convegno, Mons. Brambilla). Nel parlare di Gesù Cristo dovremo impegnare quel volto e quella storia che sono i nostri e quel volto e quella storia della nostra comunità che cresce: dire la storia di noi, famiglia di battezzati, che sentiamo come Cristo ha cambiato e cambia la nostra vita e le sue prospettive. L’annuncio è narrazione della nostra unità di vita che è fondamentalmente l’annuncio e la narrazione: “Gesù è il Signore” (1 Cor. 12).

La responsabilità dei battezzati della comunità cristiana di Stella Matutina nell’annuncio di Gesù Cristo : Cosa dobbiamo fare?

Primo:

“L’annunzio del Vangelo è destinato innanzitutto ai poveri, a quanti mancano spesso del necessario per condurre una vita dignitosa. … Prima di tutto andare verso i poveri: questo è il primo” (Papa Francesco al Convegno)

I battezzati hanno ricevuto la grazia (gratuità assoluta e piena dell’Amore di Dio, la “charitas”) e, come ricorda il Papa, “questo è il primo” impegno vitale: la carità reale e personale. La nostra comunità in ogni sua espressione, come si rapporta,  come forma alla Carità, come la realizza? Un’attenzione ed un ben più forte riscontro devono esserci: è un “andare verso i poveri”, un percorso di vigilanza. Oltre la San Vincenzo, gli adulti ed i giovani hanno incontri che li fanno andare ai luoghi delle povertà? (es.: noi abbiamo vicino il  Don Orione).  Quale attenzione al Volontariato? Il nostro quartiere definito “benestante” è sollecitato alla prossimità? Anche i ragazzi dovrebbero porre alcuni più frequenti segni di condivisione come stimolo dato dalla catechesi. Ritrovare un fermento maggiore di carità proprio per il fatto che forse i poveri nel nostro quartiere li sentiamo più lontani, ne abbiamo minima esperienza, non li troviamo facilmente accanto a noi, siamo lontani dal Centro e dalle borgate. Se non ci sono, siamo disponibili ad andare a cercarli là dove essi sono?

Secondo:

Andare verso le periferie esistenziali, tutti gli incroci dei cammini: andare là. E là seminare il seme del Vangelo, con la parola e con la testimonianza” (Papa Francesco al Convegno). Ancora, in continuità con il primo punto, la formazione e l’apostolato devono “andare” (verbo della missione pasquale del discepolo), dirigersi verso le periferie dell’esistenza (non certo le periferie per stare lontani, e quindi più tranquilli, dalle città e dai complessi problemi di ogni uomo!). Nel nostro quartiere, pur agiato, vi sono “periferie esistenziali”? Siamo una comunità che chiede o pretende servizi oppure si muove senza eccessive pretese, e solo con un dono di fede, verso le attese? Quanta solitudine entro i grandi appartamenti! Il Papa, ed esempio, è andato a visitare una favela: noi cosa proponiamo ai nostri ragazzi, ai giovani, agli adulti? La ricchezza, una alta professionalità che distacca, non è forse una periferia esistenziale di arroccamento che separa? Una fede solitaria e individualistica, che non si coinvolge, ed è pertanto generosa di critiche, non è forse ugualmente così?  Siamo pronti a cercare la perfezione negli altri, certo secondo le nostre prospettive statiche, e a non valutare le vie nuove: “Dobbiamo far uscire Cristo. C’è il rischio di incidenti, ma preferisco mille volte una Chiesa incidentata piuttosto che chiusa e malata” (Papa Francesco). Quali le nostre personali periferie che non vogliamo tirar fuori, che nascondiamo a noi stessi, che rimangono a lungo invisitate? “Uscire da noi stessi. Io non capisco le comunità cristiane che sono chiuse, in parrocchia” (Papa Francesco al Convegno): è un provocante ma bell’invito al coraggio e ad un’attiva presenza responsabile da cristiani. Dovremo far sentire a tutte le realtà, prima di tutto a quelle religiose, che la comunità va verso di loro e che i nostri spazi saranno aperti all’incontro. La benedizione nelle famiglie, portata dai sacerdoti e dalle coppie di laici, è la risultante di questa volontà di apertura e di contatto che forse dovrà trovare alcune modalità di continuità al rapporto creato; di certo questo è un ambito pastorale che va incrementato, ma si deve lavorare per dare interiorità di motivazione evangelizzatrice.

Terzo:

“Dobbiamo prepararci alla lotta spirituale, non si può predicare il Vangelo senza questa lotta spirituale. Questo si chiama martirio: c’è il martirio di tutti i giorni, di tutte le ore: la testimonianza contro lo spirito del male che non vuole che noi siamo evangelizzatori” (Papa Francesco al Convegno).

La lotta spirituale vuol dire consegnarsi totalmente al Signore ed alla sua grazia perché è Lui il Signore Risorto, Vittorioso; nella nostra debolezza ci basta la sua grazia per non soccombere. Una comunità cristiana, come la nostra, non si pone di fronte al mondo in una posizione farisaica scandalizzata, ma in un atteggiamento di lotta che usa solamente le armi dello spirito, anzitutto la preghiera. Appunto, avere la forza di pregare è la capacità di entrare nella lotta, di non perdersi, di affinare le armi vincenti, di entrare nell’azione onnipotente di Dio. La nostra comunità ha bisogno di ritrovare la via intensa della preghiera nella sua qualità più propria, meno pietistica e maggiormente ecclesiale. La lotta, prima che verso il mondo, è su di noi allorchè non adoperiamo gli stili e gli “strumenti” evangelici della lotta: rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, cioè il perdono, l’amore anche ai nemici, la riconciliazione, l’astenersi dalle mormorazioni, sostenere i più deboli, la misericordia. Dovremmo riscoprire e celebrare insieme la preghiera della Chiesa nel tempo che trascorre, che è sempre un tempo di lotta per emergere verso il costante bene, ed è la Liturgia delle Ore, un dono non solo per i religiosi ma per tutti i fedeli cristiani. Quali occasioni abbiamo o creiamo per celebrare insieme o in gruppi la Liturgia delle Ore? La preghiera delle Ore è una liturgia e quindi un’azione che indica un agire di forza, una forza di lotta spirituale la cui efficacia di corroborazione viene dallo Spirito Santo e dalla voce unita di tutta la Chiesa. Forse le comunità religiose che sono con noi ci potrebbero aiutare a fare di questa preghiera delle Ore una preghiera del nostro cuore. Da questo, lo Spirito aiuterà la nostra comunità a fare risplendere nella ritualità della Celebrazione dell’Eucarestia e nella nostra più malleabile comprensione ragionevole la qualità della liturgia eucaristica, qualità che si misura sul mistero che ci è dato di celebrare e non sulla misura dei nostri parametri umani ed intellettuali di coinvolgimento. C’è un cammino da fare per uscire, ed è veramente una lotta spirituale, da nostre presunzioni di una individuale comprensione ed affidarsi alla spiritualità liturgica del Mistero di Dio che agisce e si offre nel Sacrificio sacramentale di Cristo per la sua Chiesa. La responsabilità battesimale inevitabilmente si abbraccia al martirio perché il battesimo è entrare nella morte con Cristo e ci sommerge nelle onde, a volte impetuose, del rifiuto del vangelo da parte di  coloro a cui lo narriamo, della nostra difficoltà nel presentarlo, del senso percepito di non ascolto ed accoglienza della vita spirituale e della fede, a volte dell’inutilità del nostro sforzo educativo, della scarsità di forze con cui confrontarci o dell’impossibilità di poter fare di più, anche perché la vita ha altri obblighi familiari e professionali. Il martirio evidenzia la realtà: quali le forti ed irrisolte domande di fede troviamo ricorrenti tra la nostra gente? Vi sono potenzialità da sprigionare tra quanti incontriamo e quali? Vi sono vie per riaccendere un dialogo? Il martirio di fede ci fa sperare a non dare spazio allo scoraggiamento, a deporre le armi ma a rianimare la gioia, la positività dell’operare della Chiesa; e questa è testimonianza! Sentiamo che la nostra comunità cresce secondo le piste di quella pace che non è quietismo ma, realmente, percorso di una lotta spirituale che ci unisce tutti così da sostenerci e, soprattutto, ci indica di non abbandonare i più deboli? Infine la lotta spirituale, ed anche il martirio, sono la fedeltà convinta, puntuale al cammino di formazione che abbiamo scelto o che ci è stato indicato? Non è facile abbandonare un poco o molto gli incontri, le riunioni di crescita spirituale o programmatiche che dovrebbero favorire un cammino fatto insieme, un decidere insieme su questioni di pastorale, un sentirci in famiglia nel dare consigli e suggerimenti con libertà responsabile e partecipata e mai con acredine o rivalsa? La grande responsabilità di una famiglia è certamente amore e martirio e così, non di meno, lo è per la nostra famiglia parrocchiale;  questo “stare a casa”, in fondo, è l’anelito e la ricchezza di ogni nostro sforzo pastorale e della nostra amicizia in Cristo. Siamo temprati a questo, sia i giovani, ma soprattutto gli adulti che vivono anch’essi dell’indebolimento culturale e di fede della nostra società occidentale? Quale vigore nuovo vedi per la nostra comunità? La lotta spirituale non serve a riconquistare posizioni perdute nel territorio; è a servizio della continua conquista della radicalità del Vangelo e della radicale sequela di Cristo Signore. La fortuna di avere nel nostro territorio parrocchiale il Monastero delle Monache Domenicane, a cui guardare di più, ci ricorda l’intensa lotta spirituale dei Monaci e delle Monache lungo la storia della Chiesa con la loro preghiera continua ed il loro lavoro; per noi un concreto e vicino segno a cui unirci e da cui attingere una ripresa di sequela attraverso tempi di preghiera e di ritiri spirituali., di consiglio. Vi sono altri vivi luoghi di testimonianza di lotta spirituale da conoscere e far conoscere intorno a noi? La frequenza del sacramento della riconciliazione ben celebrato è segno della giusta dirittura della lotta spirituale; come potere agganciare con sincerità di convinzione la vita della comunità al sacramento del perdono?  Il sacramento della confessione è la tavola di salvezza dei battezzati che si aprono ancora alla grazia e ne riprendono il cammino. La comunicazione della nostra fede rimane in larga parte dottrinale e verbale o cerca di interiorizzarsi nelle dinamiche dell’esperienza e della testimonianza che ci consegnano al martirio di tutti i giorni e di tutte le ore? Le sfide dell’annuncio che si presentano a questa comunità ci fanno paura? Tutto sulle spalle di pochi? Come coltivare al meglio la collaborazione spirituale e pastorale con/tra i nostri sacerdoti e i fedeli? Il martirio è anche questo, essere e rimanere lievito: il Signore farà  crescere ed ha i suoi tempi divini di percorrenza della vita di ciascuno e di tutti.  La lotta spirituale ed il martirio segnano il nostro rimanere servi del vangelo e del Servo, Gesù Cristo.

Ricentrando in sintesi i nostri passi:

-         Andare verso i poveri

-         Andare verso le periferie esistenziali

-         Andare verso la lotta spirituale

La nostra responsabilità di comunità cristiana, che è visibilità di amore, troverà in questi punti indicatici dal Convegno Diocesano, e incisivamente dal Papa Francesco, nostro Vescovo, un invito a perseverare nella fiducia di quanto la nostra comunità ha costruito finora nella fede in Cristo Gesù e ad orizzontarsi nel futuro di Dio senza paura o paure. Ciascun gruppo potrà delineare nel proprio programma come inserire queste linee indicative di formazione e come tale contenuto possa svilupparsi in semplici ed essenziali tappe che concretizzino la messa in atto delle finalità proposte, avendo lo sguardo sull’interazione delle relazioni con la comunità parrocchiale. Un cammino in unità!

Cosa fare insieme? Un bellissimo compito per noi tutti responsabili della nostra famiglia parrocchiale! Buon lavoro responsabile e molto sereno.

Don Renzo